Agorà della Presidente

null Trent’anni dalla strage di Capaci

23/05/2022

Trent’anni da quel terribile 23 maggio. E tra le migliaia di parole che i cronisti pronunciavano a me continua a risuonare in testa: “400 chili di tritolo”. Perché è evidente che l’assassinio di Falcone doveva essere uno show. La mafia voleva dare un segnale, a lui e a tutte e tutti coloro che con serietà erano impegnati a smantellarla, nome dopo nome, volto dopo volto, gerarchia dopo gerarchia, famiglia dopo famiglia. 

Così, con 400 chili di tritolo, alle 17:58 gli agenti Vito Schifani, Antonio Montinaro e Rocco Dicillo saltarono in aria mentre Giovanni Falcone e Francesca Morvillo morirono qualche ora più tardi in ospedale per le gravi ferite riportate. 

Falcone era scomodo, ma anche Francesca Morvillo lo era. E lo era non solo in virtù di quell’amore immenso che provava per suo marito ma perché anche lei , da buon magistrato, aveva capito che ci sono missioni di fronte alle quali non ci si può tirare indietro, neanche quando di mezzo ne va la vita, perché è proprio la tutela della vita che viene dopo la meta. 

Per trent’anni Francesca Morvillo è stata conosciuta quasi esclusivamente come la donna seduta accanto a Giovanni Falcone a bordo della Fiat Croma bianca, finché quel 23 maggio 1992 400 chili di tritolo non aprirono una voragine nell’autostrada. Era una brillante magistrata, tra le prime a vincere, giovanissima, il concorso nel 1968, cinque anni dopo l’apertura alle donne della carriera in magistratura. E nel 1990 si ritrovò alla Corte d’Appello di Palermo, unica donna in toga. Da giudice minorile si adoperò per affermare l’importanza di interventi che aiutassero i più giovani a non essere attratti dalle scorciatoie del crimine, a non essere risucchiati dalle leggi dei clan. Lei, che aveva messo i suoi studi a servizio dei figli dei detenuti insegnando in un doposcuola pomeridiano frequentato in prevalenza da ragazzi di famiglie disagiate.

Perché, come scriveva Gesualdo Bufalino, “la mafia sarà sconfitta da un esercito di maestre elementari”, e quanto avevano ragione entrambi! Una ragione che oggi vale doppio se consideriamo quanto la mafia abbia cambiato pelle, se consideriamo che parla la lingua della modernità e in questa modernità non trova più bambini che giocano a pallone per strada ma internauti sveglissimi che maneggiano le tecnologie molto meglio di quanto facciano con i valori che un genitore cerca di trasmettere. E non è colpa di nessuno, semplicemente è questo il tempo che ci è dato da vivere. Oggi non c’è età per diventare grandi e la parola d’ordine è ‘fragilità’ e spesso, purtroppo, fa il paio con ‘smarrimento’. 

È facile perdersi per noi equilibristi dei tempi nuovi e allora dobbiamo essere bravi a trovare un’alternativa a quelle stanzette chiuse, allo smartphone, al pc, alla smart tv, creare luoghi di socialità in cui camminare insieme i passi giusti.

Lo dobbiamo a Francesca Morvillo, Giovanni Falcone, Vito Schifani, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo, e tutte quelle vite perdute nel nome del futuro.