Agorà della Presidente

null Partiamo dall’inizio, partiamo col dire che “tu non sei mio” e “io non sono tua”

20/06/2022

Partiamo dall’inizio, partiamo col dire che “tu non sei mio” e “io non sono tua”. Perché le persone non appartengono, non sono una macchina, una casa, un orologio, un paio di scarpe, le persone sono persone e stanno insieme se si scelgono, che è cosa ben diversa, perché fa rima con possibilità e vuol dire che anche se oggi voglio esserti accanto domani sono libero/a di cambiare idea. 

E questa cosa dell’appartenenza, che fa tanto ridere quando per le strade del tuo paese capita che un anziano ti chieda “e tie? A ci appartieni?”, per dire “di chi sei figlio?”, in realtà, restituisce alla perfezione il limbo in cui la civiltà si arena per lasciare il posto a quell’idea di appartenenza in cui non esiste nemmeno la mamma, sembra quasi che sia stato il papà ad averti partorito. 

Era così non molti anni addietro, quando la donna passava ‘di mano in mano’, da un uomo a un altro uomo, dal padre al marito, con un gesto che anche simbolicamente sembrava ‘la consegna’: l’accompagnamento del padre all’altare e la presa in carico del marito.
Era così sessant’anni fa quando le donne cadevano nell’oblio del veleno della Taranta per la disperazione di non avere un ruolo nella società, se non quello di essere mamma o figlia. 

È così, in tanti, troppi casi, ancora oggi, in molte famiglie, in cui né la Costituzione, né le leggi, né la scuola, né le battaglie per una diversa organizzazione della vita sono riuscite a cambiare le cose.
Anzi vale ancora la doppia morale per cui se un uomo e una donna fanno le stesse cose, lui è figo e lei una poco di buono. È la cultura del macho, ancora intrigante per tanti e purtroppo anche per tante.

Lo so, può sembrare assurdo che per parlare del terribile assassinio di Donatella sia partita da qui, eppure, io penso che se molti di questi pregiudizi restassero rinchiusi nella preistoria dei rapporti umani, forse, e dico forse perché nessuno ha la bacchetta magica per prevedere il futuro, molti di quei castelli di sabbia che nutrono la gelosia, alimentano la sete di vendetta, e che vorrebbero la donna ostaggio, magari chiusa nelle mura di casa, al riparo da qualsiasi tentazione, mentre l’uomo ‘che non deve chiedere mai’ (c’era pure la pubblicità! A proposito dell’importanza del linguaggio…) può andarsene in giro a mostrare i suoi attributi, cadrebbero giù uno dopo l’altro tipo effetto domino. 

Non sarà un caso se la maggior parte dei femminicidi avviene in casa, dove non c’è rete di protezione se non quella dell’uomo a cui ‘appartieni’, che una mattina, magari, sopraffatto da quei pregiudizi si sveglia e ti taglia la gola, magari davanti ai tuoi bambini.

Ecco, io non so che cosa passa nella mente folle di certi uomini, quello che è certo è che, se negli ultimi 10 anni sono state uccise 1136 donne per mano dei compagni o di ex, se al 12 giugno erano già 50 le vittime ma in questi ultimi giorni vanno aggiunti almeno altre  6 mogli, compagne, madri, non si tratta di un evento sporadico ma di un problema endemico. 

E allora non si può prescindere dalla cultura, o meglio dall’incultura, non si può prescindere dal linguaggio, non si può prescindere dalla formazione nelle scuole, non si può prescindere da una diversa applicazione  della giustizia. Perché, non è il caso di Donatella, ma la maggior parte dei femminicidi raccontano storie di anni di denunce, di urla inascoltate o sottovalutate. 

C’è un disegno di legge che giace in Parlamento e aspetta di vedere la luce, mi chiedo: perché? Si tratta del ddl contro la violenza sulle donne firmato Lamorgese, Cartabia, Carfagna, Gelmini, Bonetti, Stefani, che prova a colmare alcune lacune emerse dopo l’approvazione del cosiddetto Codice rosso nel luglio 2019. È composto da dieci articoli e prevede, per esempio, il fermo immediato dell’indiziato per minacce, lesioni e stalking, la possibilità di una vigilanza dinamica della vittima, l’uso rafforzato del braccialetto elettronico, la procedibilità d’ufficio anche in assenza di denuncia, un sostegno economico per chi sporge querela già nella prima fase d’indagine.

“Chi ha tempo non aspetti tempo” diceva mio padre, io dico che l’Italia di tempo non ne ha più.

Ciao Donatella.