Come ogni sera anche ieri ho acceso la tv prima di addormentarmi. Ne approfitto per approfondire le notizie che durante il giorno non ho il tempo di seguire come vorrei e poi, quando sono sola, come in questi giorni romani, devo dire che fa anche un po’ compagnia.
Di solito finisce che a un certo cedo alla stanchezza, ma non ieri sera. Gli occhi si sono sbarrati alle parole: “devi morire nel forno”. Il TG5 dava la notizia di due ragazzine di quindici anni nel livornese che avrebbero insultato e picchiato un compagno di dodici perché ebreo. Si è fermato il respiro, e si è fermato il tempo. Mi sono chiesta che cosa ci sta succedendo, in un momento in cui dovremmo sentirci vicini come non mai, uguali come non mai.
Domani è il Giorno della Memoria, sono passati 77 anni dalla liberazione di Auschwitz e Birkenau, ma in questa storia, lasciatemelo dire, di memoria purtroppo è rimasto poco e niente.
Eppure io li ricordo bene gli occhi delle ragazze e dei ragazzi l’anno in cui anch’io sono riuscita a salire anch’io sul Treno della Memoria in direzione Auschwitz e Birkenau. Ho visto l’inquietudine, toccato con mano la loro paura, risposto insieme ai loro insegnanti alle mille mila domande. Ho visto quanto erano diversi al ritorno, quando sono scesi da quell’aereo.
E allora penso che dovremmo interrogarci profondamente su come trasmettere quella storia a chi non ha la possibilità di guardarla da vicino come hanno fatto invece quelle ragazze e quei ragazzi. Far comprendere, seppure a distanza, la ferocia che restituiscono quelle immagini, la verità si portano dietro, senza sconti emotivi. Perché solo così a nessuno verrà più in mente di dire “Devi morire nel forno” senza che prima gli si sia trafitto il cuore e frantumata l’anima in mille pezzi.
Sono vicina ai genitori del piccolo di 12 anni, e sono vicina alla famiglia delle due ragazzine che avrebbero commesso questa terribile leggerezza, preferisco pensare che sia una leggerezza data dalla loro giovane età.
A poche ore dal Giorno della Memoria abbiamo l’occasione per ricordare a noi stessi che siamo figlie e figli della stessa “Famiglia Umana”, senza distinzioni razziali, con quella tensione educativa che ciascuna e ciascuno di noi dovrebbe mettere al servizio di un mondo di fratellanza. Perché di fratellanza abbiamo soprattutto bisogno.